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lunedì 16 febbraio 2015

Domande di dimensioni Interstellar(i)

Originariamente apparso su Isola Illyon.

Domenica 16 Novembre 2014 sono andata a vedere Interstellar. Dopo essermi imposta di non andarlo a vedere perché il trailer era insipido, mi sono invece re-impostata sulla modalità “vai e compi la tua impresa, Borg”, un po’ perché sono bipolare, un po’ perché avevo sentito solo pareri positivi. Molto positivi! Quindi sono entrata in sala con aspettative abbastanza alte. Ne sono uscita delusa. In verità, sono uscita dal cinema infuriata, ma a posteriori mi rendo conto che ero arrabbiata per l’insoddisfazione.
Perché delusa? Perché tutti lo osannavano come il film che ha riportato la sci-fi ai suoi fasti, cioè a quel pizzico di serietà in più che lancia i temi oltre il semplice splatter in salsa stellare (che in ogni caso mi piace).
Però io in quella sala non ho visto fantascienza. Ho visto un film drammatico che usa il contorno fantascientifico per rinfrescare il genere. Ora lo so che mi tirerete i pomodori, ma è stato paragonabile alla saga di Twilight, che allo stesso modo usava vampiri e licantropi come contorno accattivante per “innovare” il tema dell’amore adolescenziale.
Quindi, sono rimasta delusa perché volevo vedere un film sci-fi e mi sono ritrovata un Christopher Nolan (fino a Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno era un signor regista) che, di nuovo, mi annacqua il tema principale. La soluzione di tutto era far sparire un’ora di scene inutili, a quel punto Interstellar sarebbe stato un film molto bello, ricco di pathos, ricco di fantascienza e ricco di drammaticità: un mix realmente eccellente, il quale davvero avrebbe riportato la sci-fi ad essere un prodotto importante. E invece no, questo non è accaduto. O meglio, per me non è accaduto… i gusti son gusti.
Questa premessa non per fare una recensione ad Interstellar (che potete trovare qui, ad opera del nostro Mario), ma per introdurre l’enorme domanda con cui quella domenica io e la mia regia siamo uscite dal cinema: che cosa vogliamo veramente dalla fantascienza? Soprattutto noi appassionati, perché poi il grande pubblico è noto per ingurgitare di tutto e dare cinque stelle su cinque con leggerezza.

domandedidimensioniinterstellari
“Not just another science-fiction film”… eh no, in effetti no. È innanzitutto un film drammatico.

Partiamo da una definizione presa da Wikipedia, che per una volta è meglio della Treccani:
Fantascienza – La fantascienza ha come tema fondamentale l’impatto di una scienza e/o una tecnologia, attuale o immaginaria, sulla società e sull’individuo. I personaggi, oltre che esseri umani, possono essere alieni, robot, cyborg, mostri o mutanti. La storia può essere ambientata nel passato, nel presente o, più frequentemente, nel futuro.
Chiaro no? Tecnologia, science-fiction, ovvero un po’ di scienza, un po’ di fantasia, ma con un tenore comunque logico, come direbbe il Signor Spock. Alieni, robot, cyborg, mostri o mutanti: certo, perfetto, se ci sono va pure bene, ma non per forza devono essere presenti. Come non per forza il film deve essere futuristico. Può anche prendere un problema e un’invenzione contemporanei e estremizzarli, ed è comunque fantascienza.
Qual’è allora il problema? I gusti? Sì, è probabile, ma forse si pecca anche di soggettività. Se un film piace, non è detto sia un capolavoro. A me piace L’uomo dai pugni di ferro e la mia regia stravede per Pacific Rim… ma non ci azzarderemmo mai a definire questi film come dei “capolavori”. Ci hanno appassionato, sono godibili (perché pieni d’azione), ma non ho problemi ad ammettere che gli effetti speciali potevano essere migliori e la storia si sarebbe potuta esaurire anche con venti minuti in meno; e lei non si fa problemi a dire che, insomma, PR è un filmettino per adolescenti e appassionati di mecha. L’obiettività dovrebbe portare a sollevarsi dal proprio gusto personale e fare un’analisi che dia importanza agli aspetti tecnici e tenga conto dello scopo del film. Oltretutto, ormai alcune voci sono meno importanti di altre: se gli effetti speciali sono belli non è certo eclatante, visto che la CG fa miracoli di questi tempi. Al contrario, c’è lo stesso impegno e valore di un tempo nello scrivere le sceneggiature e nel dare una buona regia, motivo per cui questi due aspetti dovrebbero essere più considerati.
Vado fuori tema e vi faccio un esempio che non c’entra niente. Consideriamo Il giovane favoloso, recente film italiano incentrato sulla vita di Giacomo Leopardi. Fotografia, scenografie e (stranamente) recitazione sono impeccabili, soprattutto per un grande Elio Germano. Poi passiamo alle musiche. Finché sono arie classiche è tutto perfetto, purtroppo però inseriscono un brano cantato in inglese: può anche piacere, ma nel contesto fa a pugni e si concretizza in un punto in meno al film. La sceneggiatura è molto buona e sarebbe stata esaltata dal tutto se il regista non avesse deciso per tagli tremendi a scene ricche di pathos, che quindi perdono del tutto la drammaticità dei sentimenti del Leopardi. Altri punti in meno. Il risultato? A me il film è piaciuto, complice il fatto che sono innamorata della poesia dell’autore, ma se dovessi votarlo il risultato non sarebbe molto alto.
Questo per spiegare come io faccio la critica di un film, poi è chiaro… ognuno ha i suoi standard e i suoi modi che, tuttavia, dovrebbero essere specificati. Ma proprio per il mio metodo di fare critica sono uscita da un’ennesima sala con quell’enorme domanda: cosa vogliamo noi appassionati dalla fantascienza?

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Ender’s Game: stelline a pioggia e tanto apprezzamento da parte di chi lo ha visto, e incassi decisamente sotto media. La formula che include i ragazzini come snodo della trama non piace in ambito sci-fi?

A mio avviso Interstellar non è valido perché è annacquato. Allo stesso tempo, Prometheus non era valido perché doveva essere un prequel di Alien e invece sembra solo un concentrato di “tutte le evoluzioni che Ridley Scott aveva pensato”: nell’indecisione, meglio abbondare (ma ti pare?). Lucy non è neanche da prendere in considerazione: insignificante, se confrontato ad altre produzioni di Luc Besson (come Il Quinto Elemento).
Miglioriamo con i Guardiani della Galassia ma, bella forza, è un cine-Marvel. Ottimo anche John Carter da Marte, che per altro è davvero fantascienza “golden age”! Bello il messaggio di Distict 9, per la regia di Neill Blomkamp, ma il film è lentino e si poteva fare di meglio. Blomkamp è migliorato, grazie anche ad un budget più cospicuo, in Elysium.
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Locandina sgargiante per un film sgargiante: Attack the Block non ha conquistato il botteghino, ma è entrato nel cuore di molti fan.

La fantascienza ha poi un picco con Ender’s Game, che riprende con prepotenza la tematica sociale, e cola a picco con gli incassi, visto che questa produzione è stata recepita malissimo sia in Italia che negli USA. Altro picco con Edge of Tomorrow, che per fortuna è stato molto apprezzato (merito di una tostissima Emily Blunt?), e che sfruttando un espediente complesso e ripetitivo ottiene (incredibilmente…) una trama lineare e accattivante. E poi c’è quella che per me è la vera eccellenza degli ultimi anni: Attack the Block, un B-movie low budget incentrato su un gruppetto di ragazzini scapestrati che, con base in un block, in un condominio londinese, salvano il mondo da un’invasione di alieni dal design retrò. Inoltre, dimentichi dell’esistenza della CG: i creatori di Attack the Block non usano il computer per creare gli alieni, ma un attore e un costume con poche parti meccaniche.
Alla fine di questa carrellata la domanda resta: cosa ci deve essere in un film di fantascienza per farlo apprezzare a chi di fantascienza ci capisce?
Le risposte sono molteplici, e la cosa non mi aiuta.
Vogliamo veramente tornare a 2001: Odissea nello spazio? È un capolavoro, Stanley Kubrick è un genio, su questo non si discute. Ma il film ha fatto il suo tempo e forse è ora di smettere di usarlo come metro di paragone (ciao Stanley, se da lassù mi senti sappi che ti stimo tantissimo!).
Vogliamo tornare agli infiniti viaggi spaziali verso le frontiere, seguendo l’Enterprise di turno? Forse è un genere di fantascienza un po’ superato.
Quindi vogliamo il film di fantascienza modernizzato, con tanta azione e montagne di cadaveri di alieni? No, perché poi non racconta più niente.
Introduciamo dei ragazzini come protagonisti? Se ne facciamo a meno, è pure meglio: lo spazio è per gente adulta, responsabile e tosta, non per l’ultimo sbarbo arrivato in accademia.
Allora vogliamo lo sci-fantasy retrò? Mah, solo se fatto con stile, ma se evitiamo va bene uguale, a meno che l’idea non sia geniale.
Uffa, ma insomma!

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2001 – Odissea nello spazio: un incontestabile opera d’arte, per la sua epoca.
Siamo incontentabili? Sì. Siamo appassionati e legati alle opere con cui siamo cresciuti, ma al contempo cerchiamo qualcosa di nuovo. Però, se solo provano a fare qualcosa di simile i pareri si dividono: Interstellar (scusate se lo tiro in mezzo, ma è l’esempio fresco) ricorda 2001 allora è spettacolare, però era meglio se non andavano avanti con la nuova trilogia di Star Wars.Star Wars non si tocca, e poi quelli nuovi sono lenti”! Perdonatemi: ma Interstellar non è lento? Le musiche stupende e i campi lunghi dello spazio colmano davvero una trama annacquata e dialoghi a volte privi di senso?
Non ci basta più affrontare i temi della critica sociale? Dobbiamo andare a toccare un concetto come l’amore che trascende lo spazio-tempo? E dobbiamo veramente spalmarlo in tre ore di film come se la durata fosse un metro di giudizio per definire il valore della pellicola? Sì, quello monetario di certo, ma quello artistico?
Ho trovato più spunti di riflessione nel primo film di Ghost in the Shell, che dura 82 minuti (contro i 167 di Interstellar). Questo significa che la ricchezza della trama non sta nel tempo, ma nell’abilità dello sceneggiatore e del regista (e nell’apporto degli attori, se vogliamo essere pignoli).
Ma io sono una pecora nera a quanto pare e, comunque, ancora non ho risposto alla domanda.
Quello che io vorrei dalla fantascienza moderna, e anche da molti altri generi, sono prodotti con una trama chiara (spiegata all’inizio o alla fine non ha importanza), un tema che riporti alle problematiche sociali oppure uno introspettivo, purché l’obiettivo sia chiaro. Raffazzonare una storia per farla sembrare qualcosa di trascendentale non è buono, non è fare intrattenimento, né dare un messaggio culturale o sociale. O meglio, il messaggio lo dai, ma l’impianto non regge.
Quello che vorrei è anche il puro intrattenimento sci-fi. Perché no, visto che esistono film d’azione come I Mercenari che hanno solo pretesti per far sparare montagne di proiettili? O commedie atte solo a far ridere. Vorrei che si abbandonasse l’idea che ci sono generi migliori di altri. “L’azione fa schifo perché è tutto un picchia-picchia ed è roba da maschi”. “I drammi sono brutti perché è tutto un piagnisteo e sono lenti e sono solo da femmina”. “Il fantasy è assurdo, roba per ragazzini”. “La fantascienza è impossibile e solo per nerd, ma io mica sono uno di quegli sfigati lì!”. “Il western lo guarda solo mio nonno ormai”. “Giallo e thriller sono ripetitivi, sicuramente sarà un film noioso o inquietante”. “L’horror… che spreco di soldi”. “Ma è solo una commedia, non potevano metterci dentro qualcosa di più profondo?”
Luoghi comuni su luoghi comuni. Perché dobbiamo ragionare in funzione di frasi fatte? Le etichette non mi spiacciono, tengono ordine e facilitano la fruibilità dei prodotti, ma non devono diventare gabbie. Allora evviva il crossgender! Ma il crossgender non deve diventare solo un mezzo per risollevare le sorti di generi ritenuti inferiori. Deve rinfrescare, deve attualizzare, deve innovare, ma non essere una scusa per fare un film di un genere “sfigato” e dargli visibilità. Altrimenti si rischia di avere sceneggiature e trame che zoppicano. Perché se ci metti l’ideona, allora il prodotto è buono? No, conta lo sviluppo. E la sci-fi ha l’aggravante di essere, appunto, sci-fi e di prevedere quindi l’ingerenza di determinati elementi che è ben difficile controllare se già perdi le fila di tutto il resto. E questo discorso, sia chiaro, non vale solo per Interstellar.
Per questo, se anche qualcuno (come la mia regia) desidera il ritorno ad una fantascienza in parte più attenta ai problemi sociali e a raccontare il presente usando il pretesto del futuro, non può essere così in assoluto. Perché l’idea sociale non deve diventare lo schermo dietro cui pararsi.

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Neanche l’animazione è esente da film sci-fi che la hanno rivoluzionata, ma a fianco di tante produzioni valide, solo poche raggiungono la fama e la profondità di Ghost in the Shell.

Tirando le somme (dopo quasi 14mila battiture chiederete la mia testa, lo so), forse non è vero (almeno cinematograficamente) che la sci-fi è morta. Mi sembra, anzi, abbastanza viva, e neanche così mal messa. Forse la si legge solo in modo sbagliato, pretendendo che sia qualcosa che non può essere nel 2014. Tanto di quello che all’inizio del Novecento era fantascienza ora lo abbiamo nel quotidiano, e questo è un grande limite. I tablet di Star Trek sono emblematici. Tanto di quello che sfruttava la sci-fi “golden age” è già stato detto troppe volte o non è più un messaggio attuale. Quindi, in conclusione, ci vorrebbe una maggiore attenzione da parte di registi e sceneggiatori, che dovrebbero smettere di portare al cinema soltanto quello che volevano vedere da tredicenni, o un’idea da niente ma pubblicizzata in modo eccessivamente pretenzioso. Al contempo manca l’impegno dello spettatore che, senza voler criticare nessuno, non riesce ad andare oltre il genere e l’idea che gli trasmette. Cioè non riesce ad analizzare il film in tutte le sue parti, superando il gusto soggettivo.
A riprova non esistono da anni e anni, e anni, cicli sci-fi dello stesso peso di quelli scritti per esempio (tanto per citare due nomi massivi) da Isaac Asimov e Edgar R. Burroughs. Il motivo è semplice. A fianco di una reale mancanza di ispirazione, la gente non li comprerebbe, perché la massa è legata ai preconcetti e la sci-fi non ha più lo stesso prestigio che possedeva negli anni Cinquanta e Sessanta. Un altro esempio eclatante (e sconcertante) lo abbiamo proprio in casa. Urania continua a editare, ma sono tutte ristampe non attualizzate nelle traduzioni, il che vuol dire in buona parte che quei libri sono rivolti a quello stesso pubblico, ora adulto, che li prendeva da ragazzino. E che ha perso le copie in un qualche trasloco, anche se perdere le copie vecchie di Urania o della serie Cosmo Oro della Editrice Nord è come scordarsi il figlio al supermercato.
Ora sono io ad essere troppo pretenziosa? Sì, credo proprio di sì, ma non ci posso fare niente: ho ventotto anni e la televisione la vedo da sempre. Quindi, dopo quasi trent’anni di assimilazione, e arrivati al 2014, vista anche la passione per il cinema e la letteratura, e il duro addestramento alla composizione delle trame, desidererei una evoluzione della televisione (e dell’editoria e del videogioco).
Vi prego, ditemi la vostra!

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